Conoscete T-Man, un anti-eroe (così sfortunatamente chiamato) che potrebbe facilmente tenere testa ai moderni eroi decadenti come Jack Reacher o Jason Bourne. T-Man, un barista e spettrale ex-agente, è il tipo di gentiluomo pragmatico che dà aggraziatamente a Yun (Tong Liya), una misteriosa ragazza ubriaca, un divano su cui sdraiarsi prima di essere coinvolta in un brutto incidente stradale, ma T- Man chiede anche alla matrigna Mona (Yuen Qui) di essere la sua “testimone” per dimostrare che lui non ha fatto niente di deplorevole a Yun. Yun potrebbe essere il punto cruciale del mistero che coinvolge una valigetta rubata, una banda di malviventi, e il fratello di T-Man Chung (Shwan Yue). Ma “Wild City” riguarda soprattutto T-Man, un tipo non sempre buono, il cui guardaroba contiene diverse sfumature di bianco: abiti di un bianco brillante e giacche color crema stanno entrambe benissimo addosso a Koo.
“Wild City” mi ricorda un pezzo di una canzone di Leonard Cohen: “Mi è sempre piaciuto lento/lento nel mio sangue”. Si potrebbe dire che questa citazione si addica bene a Lam. Per essere chiari, il film è girato da un regista veterano che vuole provare la sua rilevanza modernizzando in un qualche modo il suo stile, pieno di tesi effetti di camera, obiettivi troppo esposti e un montaggio mosso, che ci dà l’impressione di essere totalmente scioccati durante le scene di inseguimento principali. Alcune parti dei dialoghi sono glaciali come non mai, specialmente quando T- Man dice di non ottenere un bel niente dai soldi: “In cambio del tempo, che non può essere ridato mai indietro, questa carta stampata è decisamente sopravvalutata”.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_masonry_media_grid element_width=”12″ item=”masonryMedia_BorderedScale” initial_loading_animation=”fadeIn” grid_id=”vc_gid:1475336505540-e61a030d-c2ba-8″ include=”1680,1681,1682″][/vc_column][/vc_row]